martedì 26 marzo 2013

TRATTAMENTO RIABILITATIVO NEL PAZIENTE CON SINDROME DI EHLERS-DANLOS



La sindrome di Ehlers-Danlos (EDS) comprende una serie di patologie ereditarie contraddistinte da lassità dei legamenti e iperelasticità della cute. Tale sindrome, infatti, colpisce prevalentemente il tessuto connettivo, con la presenza di un collagene mutato.
Sono state classificate 6 tipologie differenti di EDS, secondo i criteri di Villefranche1-2:

  • La forma "classica", tipo I e II con manifestazioni legamentose-articolari e cutanee
  • La forma "ipermobile", tipo III con danni principalmente articolari
  • La forma "vascolare", tipo IV con alto rischio di lesione ad organi o vasi sanguigni
  • La forma "cifoscoliotica", tipo VI con scoliosi giovanile severa
  • La forma "artrocalasica", tipo VII B con lussazione congenita delle anche
  • La forma "dermatoparaxica", tipo VII C con predominanza della sintomatologia cutanea

Altri tipi di EDS sono estremamente erari e non sono riportati casi in Italia.
Per la maggior parte delle tipologie, la sindrome di Ehlers-Danlos è causata da un difetto nella sintesi di un collagene (un componente della matrice extracellulare) e altre proteine del tessuto connettivo. Si trasmette per via genetica. Sono stati identificati almeno 29 geni che contribuiscono alla struttura proteica del collagene, che sono dislocati in 15 delle 23 coppie di cromosomi umani e un totale di più di 19 forme diverse di collagene. Ad eccezione del tipo Cifoscoliosi, che ha carattere autosomico recessivo, gli altri sono dominanti.
L’origine del tipo Ipermobilità rimane tutt'oggi sconosciuta ma fra tutte le forme è il tipo più comune.
Gli studi effettuati sul trattamento riabilitativo fisioterapico dei pazienti affetti da EDS sono molto pochi. Levy3 menziona diversi tipi di trattamento per la EDS, come la fisioterapia antalgica, l’approccio farmacologico, la chirurgia e il trattamento psicologico.
Bonandrini, Pisanti, Ravaglia e Ferrari4 hanno descritto, nel loro articolo, un esempio di trattamento riabilitativo fisioterapico in un soggetto donna di 26 anni affetto da EDS basato principalmente sul counselling e sul retraining motorio.

Per la consultazione della bibliografia contattatemi pure (fonte principale Wikipedia)



domenica 24 marzo 2013

RAPPORTI ANATOFUNZIONALI TRA APPARATO STOMATOGNATICO E POSTURA: 2° PARTE - LA POSTURA MANDIBOLARE



 
Per mantenere la testa in asse, in posizione ortostatica, ed evitare che questa si inclini in avanti a causa della forza di gravità, svolgono un importante lavoro i muscoli posteriori cervicali che, coadiuvati dalla fisiologica lordosi cervicale, permettono al capo di stare in equilibrio. Insieme ai muscoli posteriori del collo, prendono parte al controllo della posizione del capo anche i muscoli anteriori del collo che, entrando a far parte delle catene muscolari anteriori, mettono in collegamento le strutture cranio-mandibolari con:
-          il rachide cervico-toraco-lombo-sacrale;
-      la cintura scapolo omerale, con le articolazioni acromio-clavicolare, sterno-clavicolare e scapolo-omerale;
-          la cintura pelvica, con le articolazione sacro-coccigea, sacro-iliaca e ileo-femorale;
Alla sommità di queste relazioni si pone il sistema cranio-cervico-mandibolare composto dall’articolazione temporo-mandibolare, dall’articolazione occipito-atlanto-epistrofica e dai muscoli ioidei. Grande importanza in questo sistema hanno le caratteristiche morfologiche della bocca, la posizione della lingua, la funzione deglutitoria, le caratteristiche delle arcate dentarie e, infine, la posizione dei denti, il loro numero e la loro morfologia.
E’ per questo che squilibri muscolari a carico di una di queste unità, spesso si ripercuoto sugli altri segmenti, provocando disfunzioni posturali.
La mandibola è collegata al cranio attraverso le articolazioni temporo-mandibolari e viene tenuta in sede grazie ai muscoli elevatori (muscoli masticatori) e abbassatori (muscoli ioidei) della stessa, coadiuvati dalla visco-elasticità dei tessuti e dalla negatività della pressione sugli spazi di Donders19. Quest’ultimi sono il prolungamento delle vie aeree inferiori dove si trova una pressione negativa. Tale pressione viene mantenuta grazie anche alla competenza labiale. Il tono dei muscoli elevatori e abbassatori della mandibola influenza non solo la posizione verticale, ma anche la posizione saggittale e laterale della mandibola
La posizione mandibolare è capace di interferire con la muscolatura cervicale e paravertebrale, a causa delle svariate connessioni tra la mandibola e il distretto superiore del busto, pertanto influisce nella stabilizzazione del cranio sulla colonna vertebrale. Ogni modificazione antero-posteriore della mandibola modifica la posizione del capo sul rachide e con questo anche il baricentro del corpo: se la mandibola avanza, il baricentro del corpo retrocede; se al contrario la mandibola retrocede, il baricentro avanza21.
Il sistema stomatognatico deve dunque essere valutato in correlazione sia alla curva cervicale che alla postura linguale, strettamente associata all’osso ioide mediante connessioni muscolo legamentose e membranose.
La lingua, all’interno della cavità buccale, ha un ruolo fondamentale per il compimento di azioni quali la masticazione, la fonazione e la deglutizione. Essa inoltre, grazie alle forze che applica all’interno della cavità orale, è un organo importante per lo sviluppo delle strutture osee all’interno della bocca. Una disfunzione di questo organo (lingua disfunzionale), potrebbe portarsi dietro problematiche al sistema stomatognatico e quindi, in modo indiretto, al sistema posturale, alterando sia le catene muscolari anteriori e posteriori sia la postura craniale stessa, causando anomale tensioni sull’osso ioide.
Per questo anche la valutazione della funzionalità linguale è importante per impostare un giusto piano di trattamento.
Per consultare la bibliografia citata contattatemi pure

sabato 23 marzo 2013

RAPPORTI ANATOMO FUNZIONALI TRA APPARATO STOMATOGNATICO E POSTURA: 1° PARTE - POSTURA E CATENE POSTURALI


I vari studi volti alla ricerca delle correlazioni anatomo funzionali tra apparato stomatognatico e postura hanno portato a considerare che, alla base di questi rapporti, svolgano un ruolo importante le cosiddette catene posturali. L’apparato stomatognatico, infatti, è composto da numerosi muscoli che lo collegano alle strutture cranio mandibolari, al rachide, al cingolo scapolare e agli arti superiori, cosicchè una contrazione anomala di questi muscoli si ripercute su altri distretti creando uno squilibrio posturale. I muscoli della testa che terminano in altri distretti, dunque, entrano a far parte in modo diretto delle catene posturali correlate all’equilibrio corporeo.
Prima di addentrarci di capire attraverso quali meccanismi fisiopatologici la mandibola concorra ad ustaurare una “patologia posturale” è bene rinfrescarci la memoria su come viene definita la postura e su cosa sono le catene posturali.
Con il termine postura si intende la posizione del corpo nello spazio e la relativa relazione tra i suoi segmenti corporei: la postura eretta del corpo è convenzionalmente la posizione che un individuo assume nello spazio stando in piedi, con la faccia rivolta in avanti, gli arti superiori allineati ai fianchi, i piedi leggermente divaricati di circa 30° e i talloni uniti tipo “scudo francese” o separati di circa 10 cm12. Una corretta postura è quello stato in cui tutte le componenti muscolari, articolari e scheletriche lavorano in armonia e con il minimo dispendio energetico, ciò non solo consente le migliori condizioni di lavoro e permette di rispondere prontamente ad efficacemente a eventuali nuove sollecitazioni interne o esterne, ma protegge anche le strutture stesse da traumi e deformità13.
Le catene posturali sono formate da muscoli contigui fra di loro che, avendo terminazione e inserzione in comune, si comportano come un’unica struttura. Esee vengone divise dagli autori in: anteriori, posteriori e laterali.
Le catene posturali hanno dunque il compito di controbilanciare le forze esterne che agiscono sull’individuo, in modo tale da mantenerne la postura eretta.
Per la bibliografia citata contattatemi pure

giovedì 21 marzo 2013

LA SINDROME DI COSTEN


Nel 1934 l’otorinolaringoiatra James B. Costen, in un articolo pubblicato nel vol.43 dell’Ann Otol Rinol Laringol, descrisse una patologia rappresentata da un complesso sintomatologico caratterizzato da sintomi auricolari e vestibolari dipendenti dalla disturbata funzione dell’ATM. I sintomi che riportavano i pazienti alla visita erano dolori all’ATM, ipoacusia variabile nel tempo, lievi acufeni a bassa frequenza, schiocchi articolari durante la masticazione e crisi vertiginose che si risolvevano dopo insufflazioni tubariche. Costen attribuì la comparsa della patologia alla pressione da parte del condilo della mandibola sulle fibre del nervo all’interno dell’ATM, conseguente ad una alterazione dell’occlusione a causa della perdita dei denti latero-posteriori. Ciò provocava, durante la chiusura della bocca, un eccessivo accavallamento dei denti superiori sui denti inferiori con scivolamento della mandibola posteriormente. I condili della mandibola, in questa situazione, andavano a comprimere le formazioni anatomiche della regione auricolare e retro auricolare causando i vari disturbi. Egli suggerì dunque che il trattamento della patologia dovesse essere appannaggio degli odontoiatri, che vedevano nella correzione dell’occlusione dentale la giusta soluzione al problema26-27. Sebbene col passare del tempo fu dimostrato che la spiegazione fisiopatologica della sindrome non  fosse così semplice28-29, in quanto coinvolge anche il rachide cervicale, il lavoro di Costen ebbe un effetto duraturo e profondo nella diagnosi e nel trattamento del dolore  e della disfunzione temporo-mandibolare.
Attualmente non si parla più di “patologia” ma di “sindrome”. L’eziologia e la diagnosi di questa sindrome appaiono tutt’oggi ancora incerte e molto discusse come, tra l’altro, gli indirizzi terapeutici proposti dai vari autori30.
Le opinioni eziopatogenetiche formulate per spiegare l’insorgenza della sindrome di Costen sono numerose e possiamo inquadrarle in quattro teorie fondamentali:
  •           Teoria meccanica31-32-33: secondo questa teoria la sindrome di Costen può instaurarsi in conseguenza di qualsiasi processo morboso capace di riflettersi direttamente o indirettamente sulla morfologia e sulla funzione dell’ATM. I principali fattori eziologici di questa teoria sono:

·         Fattore malformativo: paramorfismi o dismorfismi delle superfici articolari;
·   Fattore traumatico: lesioni traumatiche intra ed extra-articolari, come la frattura dell’apofisi coronoide della mandibola, le fratture dell’osso malare, le lussazioni e le sublussazioni, gli esiti cicatriziali di lesioni cutanee o muscolari;
·     Fattore infiammatorio: processi infiammatori a carico dell’ATM o dei muscoli masticatori;
·         Fattore dentale: malocclusioni secondarie a malposizioni dentali, ad edentazioni molari e premolari, a ricostruzioni dentarie, ad errata applicazione di protesi, fisse o mobili;
·         Fattori generali: assumono prevalentemente carattere predisponente: turbe ormonali, senescenza, ecc...
  •           Teoria anatomica34-35: secondo questa teoria, la sintomatologia dolorosa  è da attribuirsi ai particolari rapporti topografici dell’ATM che nel suo movimento irregolare produrrebbe una compressione ed un’irritazione del nervo dentale inferiore, del linguale, della corda del timpano e del nervo auricolare-temporale;
  •           Teoria miogena36: secondo questa teoria, la sintomatologia sarebbe da attribuire all’ipertono del tensore del timpano che determinerebbe onde di iperpressione perilinfatica con disturbi sia a carico dell’apparato uditivo che vestibolare, mentre l’ipertono del tensore del velo non permetterebbe una corretta apertura della tuba di Eustachio, con conseguenti disturbi a carico dell’orecchio medio;
  •          Teoria neurovascolare37: secondo questa teoria le crisi dolorose ed i disturbi uditivi sarebbero dipendenti da uno stato irritativo dell’innervazione simpatica regionale e conseguenti a fenomeni vasomotori, prevalentemente spastici, a carico dei vasi particolarmente ricchi di terminazioni nervose, come, ad esempio, l’arteria temporale.

Nel reparto do odontostomatologia dell’Università di Pisa diretto dal Prof. Luciano Poli, , la sindrome di Costen sarebbe  causata da un quadro clinico di disfunzione linguale (teoria disfunzionale) che si esplica massimamente durante le fasi deglutitorie, ma comunque già evidente nella posizione di riposo linguale (con lingua allo spot palatino). Tale quadro disfunzionale porterebbe a disturbi a carico dell’ATM (DTM), sindromi vertiginose e algie a livello dei muscoli masticatori e del collo (cervicalgie croniche) con compressione del rachide cervicale su se stesso come meccanismo compensatorio. La proposta terapeutica, secondo quest’ottica, sarebbe quella di eliminare la disfunzione linguale attraverso la terapia miofunzionale centrata sul riequilibrio della deglutizione.
Per la consultazione della bibliografia citata contattatemi pure